mercoledì 22 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: la Statua di Khasekhemwy in scisto


La Statua di Khasekhemwy, realizzata in scisto verde, è un'antica scultura egizia che raffigura il faraone Khasekhemwy, che regnò tra il 2740 e il 2705 a.C. Alcuni ritengono appartenga alla II dinastia, ma le incertezze rimangono molte.

La statua è uno degli esempi più antichi di statuaria egizia regale ma dimostra già  una grande maestria nella lavorazione della pietra dura. Appartiene a una coppia di statue posta dal faraone stesso nel tempio di Ieracompoli, dove è stata rinvenuta nel 1898 da James Quibell. 
Khasekhemwy è seduto sul trono di semplice fattura, indossa la corona bianca dell'Alto Egitto e il mantello bianco della festa giubilare sed, con la quale il Paese celebrava un ringiovanimento del sovrano a partire dal suo 30° anno di regno. Era un'usanza molto antica, probibilmente risalente al periodo protodinastico, secondo la quale si metteva a morte il re, considerato troppo anziano e non più in grado di difendere il proprio popolo. La cerimonia serviva al regnante per dimostrare il suo vigore fisico. Il rito consisteva nel portare il sovrano in una sorta di catalessi procurata tramite l'utilizzo dei fiori di loto. Il re veniva poi deposto dai sacerdoti in un sarcofago, dove rimaneva alcuni giorni. Al suo risveglio risultava in perfetta forma fisica e mentale. 

Nella scultura, il faraone Khasekhemwy ha la mano destra chiusa e poggiata sulla coscia mentra la mano sinistra è poggiata nell'incavo del gomito destro; in origine, entrambe le mani impugnavano scettri andati perduti. La parte destra del capo e della corona mancano completamente. La parte restante lascia intravedere la maestria dello scultore nella resa degli occhi e della bocca.
Intorno alla base, sono inscritti numeri e simbolia indicare quanti nemici ha sottomesso il re. Il loro numero è di 47209, cifra di molto in eccesso.

giovedì 16 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: la stele di Djet o stele del re-serpente

Questa stele proviene da Abido ed oggi è conservata al Museo del Louvre. Si tratta di una lapide funeraria in pietra risalente alla prima dinastia, quindi circa 3000 a.C., che prende il nome dal faraone Djet. Prende nome anche dal cobra scolpito al centro. E' stata scoperta nel 1896. Questa rappresentazione del cobra corrisponde alla consonante egizia "dj". Non possiamo essere certi dell'esatta pronuncia del nome anche se è noto che nel sistema di scrittura egizia non fossero presenti le vocali. Questa è uno degli esempi più antichi di geroglifici monumentali risalenti alle prima dinastie (inizio del 3100 a.C.)

Il cobra è contenuto in un rettangolo che rappresenta un edificio (probabilmente la residenza reale) ed è stato raffigurato secondo le convenzioni del disegno egizio rimaste in uso fino alla fine del periodo romano. Sono visibili sia l'esterno, un muro decorato, che l'interno. Il cobra è sormontato da un falco, sacro al dio Horus che il faraone incarna sulla terra. L'iscrizione recita "Horus Cobra", nominando il re, un successore di Horus nel palazzo reale. I nomi della maggior parte dei faroni egizi sono stati scoperti in questa forma. Il nome Horus

Sebbene la stele fosse originariamente alta più di 2 metri, non è stata creata per essere visibile da lontano né per essere un segnaposto. E' stata trovata rotta vicino a una nicchia in un muro nel quale forse era incorporata, all'interno di uno dei più antichi monumenti funerari egizi nel sito archeologico di Abido, dove venivano sepolti i re della prima dinastia. L'iscrizione del nome del re nella pietra dura serviva a garantirgli la vita eterna.

martedì 14 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: la necropoli di Saqqara

Cartina di Saqqara Nord
Dai primi faraoni in poi, l’élite dinastica ha avuto due grandi luoghi di sepoltura: le tombe reali ad Abido, nel sud, e un’altra necropoli a Saqqara, nei pressi della capitale Menfi. Questa fu fondata alla fine della “Dinastia 0” o all’inizio della prima dinastia ed è rimasta capitale per almeno otto dinastie.
  
A Saqqara Nord, una serie di grandi tombe hanno fornito testi che fanno menzione di tutti i faraoni della prima e della seconda Dinastia. Queste grandi mastaba rettangolari di mattoni di fango cotti al sole appartenevano ai più alti funzionari del nuovo stato appena fondato. Comprendono due elementi distinti: una serie di camere sotterranee, che ospitano una fossa centrale, e una piattaforma o sovrastruttura che emerge dalla terra. Le camere sotterranee erano scavate direttamente nella roccia e rivestite con mattoni, intonaco, legno e canne. La sovrastruttura poteva essere lunga fino a 50 metri e alta 3. Era decorata con una facciata in pannelli all’esterno, la tipica “facciata a palazzo”. L’interno era diviso in celle, o “magazzini”, che ospitavano gli oggetti del corredo funebre.


Saqqara è diventata una necropoli reale intorno al 2750 a.C., quando alcune tombe reali sono state costruite circa 1 km a sud rispetto al cimitero reale di Abido. Re Hetepsekhemwy, il primo sovrano della seconda dinastia, è stato trasferito proprio dal cimitero di Abido a quello di Saqqara. Mentre nel primo, le celle sotterranee erano state costruite con mattoni di fango sotto la sabbia, le tombe a Saqqara sono ampie gallerie sotterranee scavate nella roccia. 
 

Ad oggi, sono poche le tombe identificate. Tra queste quelle di Hetepsekhemwy e Ninetjer. Per quanto riguarda quest’ultima, sono ancora in corso analisi e verifiche da parte dell’Istituto di Archeologia de Il Cairo. La tomba è composta da un numero immenso di gallerie e magazzini che rappresentano il palazzo del faraone nell’aldilà. Scarse sono le testimonianze dei misteriosi faraoni Nebunefer e Sened. Segue poi un’interruzione nella documentazione archeologica finché troviamo gli ultimi re della seconda dinastia sepolti, di nuovo, ad Abido. All’ultimo re potrebbe appartenere una struttura enigmatica situata ad ovest della piramide di Djoser: Gisr el-Mudir. Èquasi il doppio di una piramide a gradoni, con pareti in calcare massiccio. Nessuna traccia di struttura è stata rinvenuta all’interno delle mura e questo esclude la possibilità che si tratti di una tomba reale.

lunedì 13 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: Abido e le sue tombe

Abido è una delle più antiche città dell'Alto Egitto. Si trova a ovest del Nilo. Il nome significa collina del tempio poiché si riteneva che in quell'area, nel tempio simbolo della collina primigenia emergente dal Nun, vi fosse conservata la testa di Osiride come descritto in una versione del mito del dio. Abido, insieme a Eliopoli, è stata una delle due città sante dell'antico Egitto.
Le origini della città si perdono nella preistoria; di certo esiste già in epoca predinastica essendo la capitale dell'Alto Egitto, come testimoniato dai ritrovamenti di tombe e dai primi riscontri sulla presenza di un tempio, attribuibili a sovrani detti Seguaci di Horo, del periodo predinastico di Naqada e del protodinastico.

Il tempio e la città vennero ricostruiti più volte nell'arco delle 30 dinastie e la necropoli era utilizzata con continuità. Durante la XII dinastia, una grande tomba venne scavata nella roccia da Sesostri III. Seti I, della XIX dinastia, costruì un nuovo tempio a sud della città in onore dei sovrani delle dinastie più antiche. Il tempio poi venne completato da Ramesse II.

Considerata uno dei siti archeologici più importanti in Egitto, la città sacra ospitava molti templi antichi, incluso Umm el-Qa'ab, una necropoli reale dove furono sepolti i primi faraoni. Abido è sempre stato un centro cultuale, all'inizio per la divinità Khentiamentiu e in seguito per Osiride e Iside.

IL GRANDE TEMPIO DI OSIRIDE
Horo e il faraone
Nel corso dei secoli, sono stati costruiti e ricostruiti nove o dieci templi. Il primo era delimitato da un recinto di 9x15 metri, circondato da una sottile parete di mattoni crudi. Nel secondo tempio un temenos (involucro), cioè un muro esterno, circonda il sito. Questa parete viene poi ispessita nelle due successive ricostruzioni. Viene poi eretto anche un edificio più piccolo al cui interno sono stati ritrovati resti di ceneri nere. Tra queste ceneri sono stati ritrovati vasi votivi, sostituti dei sacrifici umani voluti da Cheope nella sua riforma dei templi. Una scoperta recente ha portato alla luce una nuova camera in cui sono stati rinvenuti avori intagliati, figurine e piastrelle che mostrano le splendide opere della prima dinastia. La statuetta in avorio di Cheope ci consegna l'unico ritratto del grande faraone. Il faraone Pepi I procede con un grande ampliamento  e con l'aggiunta di un grande portale in pietra per il temenos e di un colonnato. Alla fine, l'ultimo tempio sarà grande almeno tre volte rispetto alla prima versione.

IL TEMPIO DI SETI I
Questo tempio è stato costruito a sud rispetto ai templi principali. Questo edificio è meglio noto come
Facciata del tempio
il Grande Tempio di Abido. Lo scopo principale era il culto di Seti I e conservare la memoria dei primi faraoni, inclusa nei Riti degli Antenati. Una lunga lista di faraoni antichi, tra cui Narmer e Menes, è scolpita su una parete ed è nota con il nome Lista dei re di Abido o Tavola di Abido. La sua importanza è grandissima e per questo è stato anche rinominata la "Stele di Rosetta" dell'archeologia egizia analogamente alla "Stele di Rosetta" della scrittura egizia. 
Ci sono anche sette cappelle: una per il culto del faraone, tre per i capi degli dei Ptah, Re-Horakhty e Amon-Re e le ultime tre per la triade Osiride, Iside e Horo. I riti religiosi che avvenivano in queste cappelle sono la prima forma del Rituale Quotidiano, eseguita in tutti i templi durante il periodo faraonico. Sul retro del tempio è stata rinvenuta una struttura abbastanza enigmatica nota con il nome di Osireion  che serviva come cenotafio per Seti-Osiride. I soggetti delle decorazioni non sono storici ma mitologici.
Geroglifici "fuori dal tempo"
All'interno del tempio sono visibili due incisioni in bassorilievo che appaiono a forma di elicottero e di carro armato. Questa immagine, a lungo scambiata per un oggetto fuori dal tempo, è stata poi identificata con certezza come una sovrapposizione casuale di due strati di incisioni di epoche diverse.



IL TEMPIO DI RAMESSE II
E' un tempio molto più piccolo e semplice come struttura con la differenza di possedere decorazioni di cui rimangono le parti inferiori, legate a fatti storici, come il Poema di Pentaur. L'esterno è decorato con scene della battaglia di Kadesh.








giovedì 9 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: epoca tinita

Con le prime testimonianze di scrittura si pone, per convenzione, l'inizio della storia dell'Egitto antico. Sappiamo in realtà che lo sviluppo del sistema grafico egiziano ha una lunga formazione, si cui però si hanno poche testimonianze prima del 3200 a.C. La peculiarità della scrittura geroglifica consiste nella sua origine celebrativa e cultuale, legata ai simboli della regalità.
Le prime due dinastie di faraoni (dal 3150 al 2700 a.C.) creano un vero e proprio apparato statale gerarchizzato, in grado di promuovere grandi opere pubbliche; l'unificazione territoriale è probabilmente il risultato di conflitti e alleanze che portano il sud a prevalere sul nord. Influenze culturali meridionali di riscontrano già in precedenza, quando verso la metà del IV millennio diversi gruppi umani di trasferiscono nelle fertili regioni settentrionali, spinti dalla siccità.
Mentre nel nord vengono elaborati i primi miti cosmogonici legati al culto del sole, e il sovrano vivente è identificato con il dio falco Horo, ad Abido, nel sud, si svolgono i riti per la celebrazione del re defunto; in questa località sono stati rinvenuti i cenotafi dei primi re conosciuti. Presso Abido si trova la città di Thinis (da cui prende il nome questo periodo), antico centro del potere regio, trasferito al nord dopo l'unità territoriale; le vere sepolture dei sovrani si trovano perciò a Saqqara, vicino alla nuova capitale Menfi.
Le tombe tinite si presentano come tumuli parallelepipedi rastremati verso l'alto, modulati all'esterno da sporgenze e rientranze (la cosiddetta decorazione "a facciata di palazzo") a imitare le prime strutture abitative  dei capi tribù dell'epoca predinastica, che vivevano in tende di frasche chiuse da stuoie.
Dopo la fase di stabilizzazione del nord del paese, le stesse forme abitative sono "tradotte" in edifici in mattoni crudi, decorati all'esterno da stuoie colorate. Lo stesso motivo a modanatura insisterà nelle decorazioni delle tombe e dei sarcofagi delle età successive.


Il ritrovamento di alcune sepolture di re delle prime due dinastie della storia egizia rivela un complesso sistema di corridoi e camere sotterranee, sigillato dalla sovrastruttura in mattoni crudi chiamata mastaba.

Le antiche palette per la cosmesi vengono reinterpretate in funzione storiografica: i rilievi che raffigurano le gesta del re Narmer (3150 a.C.), sui due lati della famosa tavolozza del Museo del Cairo, lo presentano come re di un Egitto unificato, nell'atto di abbattere e sottomettere nemici e città straniere. Il sovrano è identificato con il toro e il falco, simboli per antonomasia della regalità, e il suo nome è iscritto nel sekht, raffigurante la pianta del palazzo reale e prototipo del cartiglio.
Una stele di calcare conservata al Museo del Louvre raffigura in rilievo in nome del re Usadji della I dinastia, scritto in un sekht riccamente decorato, sormontato dal dio falco Horo.
Anche la statuaria ufficiale mira a raffigurare il sovrano come elemento di stabilità e di possanza: la statua di Khasekhem, ultimo re della II dinastia (2170 a.C.), riproduce il sovrano seduto si un trono squadrato, abbigliato con una veste fasciante, incrociata sul busto, e recante la corona bianca del sud sul capo; le mani sono serrate a pugno per stringere gli scettri. La resa delle masse è estremamente plastica e la definizione dei dettagli è precisa e netta: è l'esempio di un'arte ufficiale di altissima

mercoledì 8 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: la tavolozza di Narmer

La Tavolozza di Narmer è il primo reperto che testimonia l'unificazione dell'Alto e del Basso Egitto. E' stata trovata a Ieracompoli da James Edward Quibell. Si tratta di una grande paletta per belletto in scisto verde alta circa 64 cm e larga 42 cm. Risale al periodo tra la fine di Naqada III e l'inizio dell'epoca tinita.
Celebra le lotte che hanno portato all'unificazione delle Due Terre. La decorazione è scolpita su entrambi i lati della lastra, in cui il registro superiore è modulato sulla forma di due teste della dea Hathor, dal volto umano con orecchie e corna bovine, che fiancheggiano il serekh contenente il volto di Narmer. Il reperto aveva anche un'utilità pratica nella vita quotidiana perché su di esso veniva triturata la polvere blu o nera con cui gli egizi si truccavano gli occhi. La funzione principale  era però quella cerimoniale. La Tavolozza è anche un importante reperto filologico poiché costituisce uno dei primi esempi di scrittura geroglifica dell'Antico Egitto. Compaiono infatti simboli e concetti evoluti come il falco Horus, la dea Hatohr, il tempio a facciata di palazzo ed altri elementi  che saranno il fondamento della teologia e della cultura egizia come la centralità della figura del re.

Tavolozza di Narmer - verso
Il verso della tavolozza è diviso in tre registri, ognuno con un messaggio preciso.
  • Primo registro: è il più in alto e al suo interno c'è un serekh (cartiglio) in cui è scritto il nome del faraone Narmer, identificato in un pesce gatto e da una mazza. Ai lati dominano due teste di vacca simbolo della dea Hathor.
  • Nel secondo registro domina la figura di Narmer. Ha in capo la corona bianca simbolo dell'Alto Egitto ed è raffigurato con gli attributi tipici dei re, come la barba e la coda di toro ad indicare la potenza del sovrano come "Horus Toro Possente". Nella mano destra, il re stringe una mazza con sui colpire un uomo inginocchiato a terra e che tiene per i capelli. Di fronte a Narmer c'è un falco appoggiato su sei fusti di papiro, simbolo del Delta del Nilo, zona ricca di questa pianta. Il simbolo del papiro era usato anche per indicare il numero mille, quindi la scena potrebbe essere interpretata come la sottomissione di seimila prigionieri nella zona del Delta.
  • Nel terzo registro, ci sono due uomini nudi, probabilmente nemici, e un piccolo simbolo che indica una città, rimarcando la potenza di Narmer che sottomette nemici e località del Basso Egitto.

Tavolozza di Narmer - retro

Il retro della Tavolozza, invece, si può dividere in quattro registri:

  • Primo registro: è uguale a quello del verso e ripete il nome del re affiancato alla dea Hathor. Ne deriva una doppia intestazione, la "firma" dell'oggetto da parte di Narmer.
  •  Secondo registro: qui troviamo la scena principale. Narmer ha in capo la corona rossa del Basso Egitto, la mazza e, soprattutto, regge il flagello, simbolo di autorità. Davanti al re c'è una donna detta Tjet e quattro portastendardi che portano gli emblemi di quattro divinità tra cui, oltre i falchi, di nota Wepwawet, il dio simile ad Anubi, "colui che apre la via", la guida degli dei e protettore dei defunti nell'aldilà. Davanti al corteo ci sono due file di cinque corpi decapitati con le loro teste fra le gambe: il nemico è sconfitto e immolato agli dei.
  • Terzo registro: è dominato dal cerchio formato dal collo allungato di due felini, forse leonesse o pantere: qui forse veniva triturato il colorante blu o nero per il trucco degli occhi. Due personaggi le tengono al guinzaglio.
  • Quarto registro: un toro, simbolo della regalità vittoriosa, ha grandi corna lunate. A testa bassa colpisce le mura turrite di una città e calpesta un nemico; la muscolatura e i dettagli del corpo sono descritti con precisione e realismo. 

Le scene descritte nella Tavolozza di Narmer sono eloquenti e sembra quindi evidente che la supremazia di un re dell'Alto Egitto abbia domato il Basso Egitto, conquistandone i territori. Il prezioso reperto indica l'esistenza, in quel periodo, di divinità che saranno fondamentali nell'Egitto dinastico, come Horus e Hathor, madre dello stesso Horus.
Il concetto di Re identificato con Horus era probabilmente presente in Alto Egitto già prima dell'unificazione. In quest'ottica è possibile collocare anche il tempio a "facciata di palazzo" tipico dell'era Tinita. Il tempio, o la dimore eterna, la mastaba è la casa di Horus, cioè il faraone, ma "Casa di Horus" è il significativo di Hathor. Sembrano quindi ben radicati i princìpi base di una tradizione religiosa che sarà millenaria: Namrer, sul suo gonnellino, ha decorato un tempio a facciata di palazzo con testa di vacca a sormontare la dimora reale dell'Horus.

martedì 7 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: la cultura di Naqada

L'arte di Naqada si sviluppa in Alto Egitto tra il 3900 e il 3060 a.C. E' conosciuta principalmente grazie ai riti funerari. Era già radicata la credenza nell'aldilà: i morti non venivano ancora mummificati, ma deposti in fosse ricche di corredi funerari.
Cartina

Questo periodo viene diviso in tre fasi:
  • Naqada I (amraziano): tra il 3900 e il 3650 a.C.
  • Naqada II (gerzeano): tra il 3650 e il 3300 a.C
  • Naqada III (semainiano): tra il 3300 e il 3060 a.C.
Da sempre gli storici e gli studiosi si pongono la domanda sulla provenienza dei popoli che hanno dato vita alla civiltà egizia. Le teorie più accreditate sono due:
  1. invasori che, arrivando dalla Mesopotamia e attraverso il Mar Rosso, sono giunti in Egitto creando la "razza dinastica"
  2. popoli provenienti dalla terra di Punt, nell'attuale Somalia (teorie formulata da Petrie) 
A prescindere da quale delle due sia la più veritiera, è costante la presenza di ceramiche e necropoli.

NAQADA I
Vasi con bordo nero
La produzione di ceramiche è l'elemento caratterizzante di questa fase. Sono vasi di forma aperta, dal fondo rosso e talvolta decorati con disegni geometrici bianchi (linee, trattini, zig-zag). Verso la fine di questo periodo si osservano anche rappresentazioni stilizzate di animali (ippopotami, coccodrilli), figure umane, scene di caccia e di culto, riti sacri e barche.
Figurine
Un'altra produzione importante è quella dei vasi di forma conica, rossi all'esterno ma con bordi neri. Venivano capovolti e cotti. In questo modo i bordi si annerivano. Sono attestati scambi commerciali tra Alto e Basso Egitto. Un vaso fabbricato con pietra del Nord è stato trovato a El-Amra. La pietra è uno dei materiali fondamentali in questo periodo. In molte sepolture sono state rinvenute tavolozze e mezza discoidali. Le prime erano realizzate in scisto e venivano usate per i cosmetici. Anche il rame veniva importato dal Sinai o forse dalla Nubia, dalla quale provenivano ossidiana e oro. Le figurine umane, sia maschili che femminili, erano eseguite in avorio o terracotta. Forse erano associate al culto della fertilità.

NAQADA II
Vasellame
Pettini
In questo periodo si assiste alle prime migrazioni e alla fondazione delle prime città. L'arte si sviluppa e si diversifica. Ci sono vasi in pietra levigata, elementi in lapislazzuli, oggetti in rame (spille, pettini, amuleti e perle), coltelli in osso, calici dai bordi neri. I cambiamenti più evidenti sono nell'ambito della ceramica, delle tavolozze per cosmetici e figurine umane. C'erano scambi con la Palestina e la Nubia.
La differenza più evidente con il periodo di Naqada I, per quanto riguarda la ceramica, è l'inversione dei colori: si usano pigmenti bruni su un fondo nocciola. Le decorazioni si evolvono: scene più strutturate ma più misteriose come una barca con molti remi, due cabine, uno stendardo e personaggi sul ponte. E' stata interpretata come un villaggio con le sue palizzate. 
Le tavolozze cambiano forma: scudo o mezzaluna con bordi seghettati da cui fuoriescono teste di serpente o di uccelli.

NAQADA III
Paletta con bassorilievi
Coltelli decorati
Lo stato diventa sempre più centralizzato ed emerge una classe sociale di élite (con tombe più lussuose rispetto alle altre). Il sito archeologico di Ieracompoli è uno dei più significativi. E' stato ritrovato un gruppo di villaggi chiuso da un recinto, una necropoli e, forse, un tempio arcaico edificato in legno. La tomba n° 100 conteneva pitture con il tema della barca ma anche personaggi fluttuanti nello spazio e un ammaestratore di animali. Queste pitture presentano caratteri che ritroveremo nei successivi 3000 anni: la rappresentazione di uomini e oggetto senza pretesa di realismo, i colori simbolici e l'uso di registri.
I coltelli con lama di selce e manico in avorio conoscono un enorme sviluppo. Uno dei più belli è conservato al Louvre: è il coltello di Gebel el-Arak che su lato rappresenta scene di caccia di ispirazione sumerica e sull'altro un combattimento tra due diversi gruppi etnici. Le scene cono scolpite a bassorilievo su avorio di ippopotamo. 
Tavolozza con bassorilievo

Anche le tavolozze cambiano molto. Diventano oggetti istoriati, decorati con bassorilievi. Viene mantenuta la forma a "coppa". La più nota è la Tavolozza di Narmer che segna la fine del periodo Naqada III e della famosa "Dinastia 0".


lunedì 6 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: le culture dei primordi

L'arte predinastica si sviluppa tre il VI millennio e il 1350 a.C. circa e si manifesta attraverso le incisioni rupestri diffuse lungo tutto il corso dell'alto Nilo. Raffiguravano soprattutto animali selvatici della savana, scene per propiziare la caccia, scene di vita quitidiana e di pastorizia. In questo periodo vengono creati anche i primi strumenti musicali, come bacchette, sonagli usati durante i riti. 

CULTURA TASIANA
Vaso tasiano
 Questa cultura si svilupla a Deir Tasa, località nella valle del Nilo in Alto Egitto, tra il 5500 e il 4700 a.C. Il popolo da nomade diventa stanziale e inizia l'allevamento di animali domestici, la coltivazione di cereali come il farro e l'orzo. 
Sono stati ritrovati siti archeologici con sepolture e reperti in pietra, ami per la pesca e granaglie. La cultura tasiana è stata, probabilmente, la prima a produrre la caratteristisca ceramica egizia rossa smaltata di nero. Viene decorata con mitivi semplici e forma di "S" e triangolari. Uno dei reperti più noti, appartenente alla cultura tasiana, è conservato al Petrie Museum a Londra e consiste in un vaso di argilla grigia, alto circa 24 cm con bocca svasata e decorato con motivi bianchi di linee, traingoli e "S". A questo periodo risale anche l'invenzione del tornio usato dai vasai. Compaiono anche le prima tavolozze per uso cosmetico.

CULTURA DI MERIMDE
Ritrovamenti in pietra
Questa cultura nasce tra il 4800 e il 4300 a.C. Il termine Merimde deriva dall'omonimo sito archeologico. L'insediamento era concentrato nella parte occidentale del delta del Nilo, in Basso Egitto., poco distante dal Il Cairo. Il sito è stato scoperto da un sacerdote tedesco nel 1928. Merimde mosta un insediamento durato almeno un millennio. Sono state ritrovate ceramiche, piccoli manufatti in argilla, buoi e una testa umana che risultano essere le prima forma d'arte riscontrate lungo il Nilo.


Vasellame
CULTURA DI MAADI
Questa cultura prende il nome dal sito archeologico omonimo che si trova a sud-est del Il Cairo, nel
Basso Egitto. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce un vasto insediamento e due grandi necropoli. Sono stati rinvenuto numerosi utensili in rame, testimonianze rare durante il neolitico. Questi oggetti in rame permettono di ipotizzare scambi commerciali con la Palestina meridionale, la Mesopotamia e l'Alto Egitto. Inoltre sono state ritrovati cunei in argilla, simili a quelli usati a Uruk per decorare i santuari. 


CULTURA DI BADARI
Statuetta

Questo è un periodo caratterizzato dall'esistenza dell'agricoltura in Alto Egitto, dalla presenza di manufatti in rame e dalle prime produzioni in maiolica. Questa cultuta si pone tra la fine del della Cultura tasiana, la Cultura di Merimde e l'inizio della Cultura di Naqada. Sono stati rinvenuti 40 insediamenti e almeno 600 tombe. 
I defunti erano sepolti in pozzi ovali, rannicchiati sul fianco sinistro. Il corredo funebre era molto ricco: piatti, ciotole, scodelle, gioielli e suppellettili. Le ceramiche presenti sono di rosse e brune e sono caratteristiche di questa cultura.

mercoledì 1 febbraio 2017

ANTICO EGITTO: i primordi

La trattazione della storia dell'arte di un popolo spesso ha inizio con la formazione di quella civiltà: nel caso dell'Egitto, questo periodo è detto "predinastico" e contiene gli elementi culturali fondamentali che saranno poi sviluppati in epoca storica.
Intorno al 5000 a.C. popolazioni di seminomadi di raccoglitori e cacciatori si stanziano lungo la Valle del Nilo, sviluppando una primitiva agricoltura e l'allevamento di animali addomesticati. Piccole comunità tribali confinanti si aggregano per motivi di difesa e per meglio controllare gli scambi economici con le regioni periferiche; in corrispondenza con i nodi commerciali più importanti si sviluppano grosse comunità territoriali (Maadi, Buto, Hierakompoli, Naqada). Tale periodo occupa il V e il IV millennio a.C. ed è suddiviso in fasi e sottofasi, identifificate sulla base dei ritrovamenti archeologici provenienti dai siti di Ballas, Naqada e Hu. Migliaia di reperti sono stati classificati dall'équipe dell'egittologo inglese William Petrie in base alle trasformazioni stilistiche, all'incremento delle tipologie ceramiche e alle forme e dimensioni delle tombe; la ricerca ha rivelato, nonostante le differenze regionali, una unità culturale delle popolazioni del sud, dal carattere guerresco e artigianale, ben distinte da quelle settentrionali, la cui economia si fonda su base agricola.

Le tombe dei vari gruppi umani rivelano caratteristiche comuni: in un primo tempo sono semplici fosse ovali, in seguito diventate di forma rettangolare, a volte rivestite di mattoni crudi o assi di legno. Il cadavere è deposto rannicchiato sul lato sinistro e avvolto in teli, stuoie o pelli, accompagnato da ogetti in fibre vegetali intrecciate, armi, monili ed effetti personali; dalla loro analisi emergono accenni di differenziazione gerarchica.
Vasi a bordo nero
Tra i prodotti artistici caratterizzanti quest'epoca i più antichi sono i vasi detti "a bocca nera", la cui colorazione scura e lucente sull'orlo è dovuta alla cottura del recipiente capovolto, conficcato nella brace e nella cenere; che questo procedimento sia voluto è testimoniato dall'uso decorativo di questa doppia colorazione, come si nota nella statuina fittile della "danzatrice" di Brooklyn, il cui corpo risulta rosso e la veste nera.
Danzatrice di Brooklyn

Successivamente compaiono ceramiche decorate con motivi naturalistici e animali, rappresentazioni di barche, esseri umani e stendardi divini, ben riconoscibili nonostante la stilizzazione. Una della più antiche stoffe del mondo, proveniente da Gebelein e conservata al Museo Egizio di Torino, è decorata con scene di navigazione e figure femminili a braccia aperte levate; è possibile che le pitture riproducano un corteo religioso e on funerale.
Verso la metà del IV millennio vengono prodotte tavolozze in scisto a forma di tartaruga, stambecco, pesce altri animali, interpretate come oggetti su cui polverizzare il trucco per decorare viso e corpo a scopi estetici e, forse, anche rituali.
Telo di Gebelein con scene di navigazione

La fase di transizione verso le prime dinastie faraoniche è nota attraverso le scene favolistiche, di guerra e di regalità scolpite a rilievo su tavolette, per le quali deve perciò essere ipotizzato un alto valore rituale e simbolico. L'osservazione delle loro decorazioni permette di riconoscere un'evoluzione stilistica attraverso i secoli che tende a un progressivo realiscmo descrittivo.